Metodologie e strumenti di conservazione Ex situ

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Di fatto, l’uomo ha sfruttato la potenzialità dei semi di rimanere vitali nel tempo fin dall’era Neolitica (circa 10.000 anni fa), quando iniziò la coltura del grano. Il trasporto delle sementi, la possibilità di mantenere riserve e la creazione di nuove varietà hanno giocato un ruolo fondamentale nello sviluppo dell’agricoltura. Tuttavia, come ogni organismo vivente, anche i semi sono soggetti ad un certo grado di deterioramento nel tempo, più o meno rapido a seconda delle specie e dell’ambiente di conservazione. Per questo motivo, le collezioni di germoplasma sono da sempre state utilizzate e rinnovate frequentemente.

Lo stoccaggio dei semi, inteso invece come processo di conservazione a lungo termine, ha avuto inizio solo nell’ultimo secolo. La più antica banca di semi del mondo ha sede a San Pietroburgo, nella Stazione di ricerca Pavlovsk. Fondato nel 1926 dall’agronomo N. Vavilov, questo Centro fa parte del «Vavilov Institute of Plant Industry» e possiede la più grande collezione di antiche varietà europee di piante coltivate. Queste piante, conservate sotto forma di centinaia di migliaia di semi, sono di grande valore: si tratta dei progenitori delle varietà commerciali attualmente coltivate, caratterizzati da proprietà uniche che potrebbero tornare utili per ottenere nuove varietà in grado di resistere ai cambiamenti climatici, ai parassiti e alla siccità.

Negli USA la raccolta e lo studio del germoplasma inizia fin dai primi del 1900, ma solo nel 1958, a Fort Collins (Colorado), venne realizzato il primo vero stoccaggio di semi a basse temperature. Attualmente questa struttura è gestita dal «USDA-ARS National Center for Genetic Resources Preservation» e vanta numerose collezioni di piante coltivate (circa 380.000). Una ricerca condotta dall’«International Plant Genetic Resources Institute» (IPGRI) rileva che nel 1975 c’erano solo 8 centri al mondo che si occupavano di conservazione dei semi a lungo termine, mentre 7 anni più tardi il numero totale era salito a 33 e oggi sono operative oltre 1.700 banche del germoplasma e circa 30 organizzazioni internazionali che si occupano professionalmente di semi. Attualmente la banca più famosa al mondo è la «Svalbard Global Seed Vault» (Global Crop Diversity Trust, Norway Government), che conserva i semi di piante coltivate da tutto il mondo, sotto ai ghiacci polari. Ma la conservazione ex situ dei semi è un’efficace tecnica di conservazione per la maggior parte delle piante, anche non coltivate. Pertanto, dagli anni ’70 sono operanti anche banche che si occupano esclusivamente o quasi di tali entità. Le più vecchie sono localizzate in Spagna (Università di Madrid) e in Gran Bretagna, l’attuale «Seed Preservation Department» (Royal Botanic Gardens, Kew). Quest’ultima istituzione si è assunta l’importante ruolo di conservare i semi delle piante spontanee di tutto il mondo e attualmente ha raggiunto l’obiettivo di ospitarne il 10% (Millennium Seed Bank Project). In Europa dagli anni 2000 è attiva la rete ENSCONET (European Native Seed Conservation Network), costituita da quasi 30 banche (di cui anche 3 italiane) ed ha lo scopo di promuove, condividere e divulgare le conoscenze sulla conservazione ex situ delle specie spontanee europee. Le banche del germoplasma sono strutture specializzate che operano secondo standard internazionali. Il processo che porta alla conservazione a lungo termine dei semi parte dalla raccolta in natura. In generale è necessario acquisire germoplasma di qualità, raccogliendo i semi ben maturi; inoltre bisogna campionare da più individui possibili, in modo da garantire una sufficiente variabilità genetica, senza tuttavia ledere la popolazione stessa (20% dei semi prodotti). I campioni di semi giunti in banca vengono puliti e successivamente conteggiati, essiccati (15% UR; 15°C) ed infine congelati (-20°C). I processi di essiccazione e congelamento sono l’elemento chiave che consente di mantenere i semi vitali per molto tempo. In particolare, è stato studiato che ogni 10% di riduzione dell’umidità relativa (UR) e/o 5°C di riduzione della temperatura, la longevità dei semi raddoppia. In condizioni di elevato essiccamento e basse temperature, il deperimento del DNA e/o l’azione di agenti patogeni sono infatti molto ridotti. Benché questi trattamenti siano applicabili alla maggior parte delle specie, esiste una minoranza che non tollera la disidratazione (10%). Questi semi vengono detti «recalcitranti» poiché non sopravvivono a valori di contenuto in acqua inferiori al 40-50%; ai semi recalcitranti si contrappongono gli «ortodossi », in grado di sopravvivere ad una disidratazione fino ad un contenuto in acqua molto basso (3-5% del peso fresco). I semi recalcitrati (es. le Querce) non possono essere conservati secondo le procedure standard sopra descritte, ma è necessario adottare metodi più complessi e onerosi come il congelamento in azoto liquido degli embrioni. Tra i semi ortodossi e quelli recalcitranti esistono altre categorie intermedie, caratterizzate da una variabilità nel grado di tolleranza all’essiccazione. A seconda delle specie e dell’ambiente da cui provengono, i semi conservati in banca possono rimanere vitali per diverse decine, forse centinaia, di anni. A tal proposito, recentemente è stato dimostrato che le specie provenienti dalle zone calde e aride del Pianeta producono semi più longevi (fino a 500 anni e oltre) rispetto a quelli dalle zone fredde e umide, come quelle alpine (80-100 anni). Questa variabilità nella tolleranza all’essicazione e nella longevità dei semi comporta un’altrettanta variabilità degli intervalli di verifica della vitalità dei campioni nel tempo (es. tramite test di germinazione), cosi come di rinnovo delle collezioni stoccate in banca.