La banca che custodisce i tesori verdi di Lombardia

La primula del monte Alben sulle prealpi bergamasche, piccoli fiori viola scuri, condivide storia e destino con la linaria tonzigii, colore giallo, fiore simile alla bocca di leone, che spunta tra pietraie e ghiaioni in alta montagna solo nelle province di Brescia e Bergamo. Le glaciazioni, quando distrussero la flora che esisteva prima di quella che noi conosciamo, non sono mai arrivate nelle parti marginali delle Alpi meridionali, dove si sono potute conservare, sopravvissute alla mattanza del grande gelo, specie molto antiche. Come queste. In una Lombardia ad altissimo tasso di sviluppo e ammorbata dallo smog, territorio che ha la più alta densità di macchine al mondo, fa piacere sapere che proprio qui «esiste un' alta biodiversità - come spiega Graziano Rossi, docente di Botanica Ambientale ed Applicata all' università di Pavia -. Delle circa 6mila piante spontanee esistenti in Italia, più della metà, 3200, crescono nella nostra regione. E alcune, una decina, sono una assoluta esclusiva, vere rarità territoriali». In Inghilterra, dove esiste la banca dei semi più grande e importante - fa capo ai giardini botanici reali di Kew, i mitici Kew Gardens - la flora spontanea anglosassone l' hanno già tutta messa in sicurezza. Si prendono i semi, si disidratano, ma non del tutto, molto lentamente, poi si congelano a meno 18. Un processo lungo, che può durare anche un paio d' anni, ma che consente di far germogliare le sementi, volendo, anche fra qualche secolo. «500 anni è sicuro, mille è una probabilità elevata». La Lombardia fino a poco tempo fa mandava a Kew i semi delle sue specie autoctone più preziose, quelle che, per esempio, nascono solo qui e in nessuna altra parte, o che sono a rischio di estinzione. Ne ha spedite circa un' ottantina. Poi ha deciso di fare da sé. Ed è nata la banca lombarda dei semi (o del germoplasma), tra l' orto botanico di Pavia, dove vengono portate, per prepararle, le sementi raccolte in monti e campi, e Villa Bertarelli di Galbiate, nel parco del monte Barro, a Lecco, dove, invece, si tiene lo stoccaggio. Con l' aiuto anche della Fondazione Minoprio, che ha il compito di riprodurre alcune piante spontanee per il recupero ambientale. Il sottobosco del parco agricolo Sud e del bosco di Seveso è stato realizzato così. «Il mercato vivaistico non ha piante di provenienza lombarda - racconta Graziano Rossi - e in questo modo noi forniamo quelle compatibili con le popolazioni vegetali spontanee locali». Si fa fatica a capire questo protezionismo botanico, che pare esagerato, e ci si chiede se non sia meglio la varietà, il mescolare piante anche di paesi diversi. Poi si pensa ai danni che ha fatto la robinia, arrivata dall' America in Lombardia nel 1800 e diventata pianta aggressiva e infestante. «Le sementi dei florovivaisti - spiega ancora Rossi - arrivano da paesi extraeuropei, e così vengono messi in contatto geni di popolazioni molto lontane da noi. Questo inquinamento genetico, generalmente, nelle piante spontanee - che sono diverse dalle piante usate per le colture come, per esempio, la patata o il pomodoro - fa molto male. Non è una situazione naturale, non si realizza con i tempi lentissimi della natura, milioni di anni che consentono adattamento e equilibrio di due patrimoni genetici diversi che si incontrano. è una forzatura. Un artificio, molto spinto, dell' uomo». In più le piante in commercio sono «cultivar, create artificialmente, e vengono messe in contatto con piante selvatiche. Apparentemente sono simili, ma geneticamente sono modificate. Noi vogliamo diffondere l' uso delle specie spontanee indigene che non danno problemi perché sono uguali a quelle che si trovano sul territorio. è un principio ormai acquisito nella cultura naturalistica e biologica, un criterio usato soprattutto in Nord America e nord Europa. Lì le piante che arrivano dall' Europa nei parchi le trattano coi diserbanti». L' intento, ora, è mettere in banca tutte le specie spontanee lombarde. «Per ricreare popolazioni là dove si sono estinte, per proteggere piante rare o anche quelle che sono a rischio per la distruzione, da parte dell' uomo, del loro habitat naturale. Pensiamo alle piante degli ambienti umidi, stagni, langhe, fontanili, che fino a poco tempo fa non venivano rispettate. I bei fiori bianchi e penduli della campanella maggiore una volta, in pianura padana, si vedevano dappertutto. Ora esistono solo poche popolazioni, isolate tra loro».

ANNA CIRILLO